Lo
scopo della rubrica letteraria "Voci Negate" è
cedere la parola agli autori esclusi, per le
ragioni più diverse, dal mondo dell'editoria o,
più precisamente, dei grandi nomi del settore.
Il caso del libro di Enrico
Brogneri Ai margini di Ustica, per
la gravità del tema che affronta e per il modo
in cui il manoscritto è stato "accolto" dagli
editori, merita un rilievo particolare.
L'autore, che può essere considerato l'unico
testimone oculare di un fatto che si ha motivo
di credere essere strettamente collegato con
la strage di Ustica, si è assunto l'impegno di
scrivere quest'opera "per rendere più
tangibile il suo contributo in onore delle
vittime".
Questa,
brevemente riassunta, la drammatica vicenda
avvenuta in quel triste 27 giugno del 1980:
–
poco prima delle ore 21.00, un DC9 della
Compagnia Aerea Itavia, partito da Bologna con
destinazione Palermo, si inabissa per cause
misteriose nel Mar Tirreno, nei pressi di
Ustica
–
le 81 persone a bordo muoiono nel disastro
–
il 18 luglio dello stesso anno, sui monti
della Sila viene rinvenuto un Mig 23, di
probabile nazionalità libica, con all'interno
un uomo la cui morte, in seguito a vari esami,
è fatta risalire in un primo momento al 18
luglio e successivamente ad almeno quindici
giorni prima. Secondo la versione ufficiale,
accreditata dalle commissioni d'inchiesta, non
vi sarebbe alcuna relazione fra il Mig libico
e il disastro del DC9.
Il
caso, però, ha voluto che la sera del 27
giugno, verso le ore 21.20, e cioè pochi
minuti dopo l'incidente aereo nei pressi di
Ustica, l'autore del libro, Enrico Brogneri,
vedesse un aereo militare volare a bassissima
quota e a luci spente sulla città di
Catanzaro...
Questo fatto ha schiuso ai suoi occhi la
possibilità di un collegamento con la strage
del DC9 ed ha fatto sorgere in lui la volontà
di far luce sulla vicenda per contribuire a
far emergere una verità scomoda che si scontra
con grossi interessi internazionali; una
verità che le autorità hanno cercato di
occultare col silenzio, se non addirittura
ostacolando e depistando le indagini e negando
l'evidenza. Ardua impresa, quella di Enrico
Brogneri, quando si devono affrontare forze
molto potenti: una vera e propria battaglia
che richiede enorme coraggio.
L'autore
ha cercato di ricostruire i fatti con
approfondite ricerche che hanno richiesto anni
di lavoro, collaborando instancabilmente con
magistrati e giornalisti:
"Non
bastano i resoconti giornalistici, non
bastano le proteste dei parenti delle
vittime, non bastano le investigazioni della
magistratura, non bastano né dieci né
quindici anni di attese più o meno utili.
Per capire Ustica, bisogna chiudere gli
occhi e immaginare di trovarsi seduto
accanto a una qualsiasi delle ottantuno
persone decedute; bisogna sentirsi accanto a
loro per rivivere, insieme a loro, quegli
attimi terribili; bisogna tornare indietro
con la fantasia per ascoltare i loro
dialoghi, cogliere le loro speranze, le loro
emozioni nel ritrovarsi a contatto con le
piccole cose di ogni giorno: il mare, la
luce, gli affetti, le vacanze appena
arrivate; bisogna trovarsi accanto al pilota
per sentire la sua sorpresa, accanto alle
donne, ai bambini che di schianto, straziati
nelle carni, urlano il loro terrore e
invocano un aiuto improbabile, in un
susseguirsi di eventi a catena,
inarrestabili eventi, sempre più traumatici,
sempre più indomabili. Per capire Ustica,
bisogna trovarsi tra i pochi non ancora
deceduti, e insieme a loro annaspare in uno
sforzo estremo, tanto sovrumano quanto
inutile, nelle fredde acque del Tirreno, in
quel mare che appena prima era azzurro e ora
è nero; bisogna poi trovarsi a condividere
coi genitori, coi figli, con i fratelli, i
parenti e gli amici, l'angosciante attesa di
un annuncio mai arrivato.
Capire Ustica, significa poter chiudere gli
occhi e verificare se si ha la coscienza
pulita.
Gli uomini giusti possono farlo. Gli altri
sono i responsabili".
Il
libro, che è molto ponderato e ben lontano dal
tono sensazionalistico di certa stampa, e
riporta il testo integrale di importanti
documenti relativi alle ricerche condotte da
Enrico Brogneri, è uscito lo scorso gennaio ed
è stato edito a cura e spese dell'autore, dal
momento che nessuna delle case editrici
contattate, fra le più importanti del Paese,
si è voluta esporre, accettando di pubblicare
un'opera il cui contenuto, in un certo senso,
si potrebbe rivelare "pericoloso".
Come ha osservato lo stesso autore: "l'omertà
non appartiene solo alla gente comune... la
mia delusione è stata cocente specie quando ho
potuto verificare, a volte casualmente, altre
per gentile concessione di consulenti e
dipendenti, che alla base dei rifiuti dei
vertici editoriali v'era la difficoltà di
gestire l'argomento trattato, che è stato
considerato troppo scottante...".
Affinché i lettori possano constatare quali
sono state le difficoltà incontrate
dall'autore per pubblicare il libro, riporto
copia delle risposte delle varie case editrici
a cui si è rivolto: le reazioni suscitate
dalla lettura del manoscritto e le
giustificazioni che sono state fornite per il
suo rifiuto. Per ragioni che mi paiono ovvie,
onde evitare all'autore spiacevoli
complicazioni, non verrà indicato il nome
delle case editrici e degli operatori in
questione:
–
Casa Editrice n. 1:
al telefono, il direttore editoriale della
narrativa, il sig. (...) : "Il libro è
bellissimo e davvero interessante". Riscontro
scritto del 20.5.97 dalla Segreteria
editoriale: "la decisione editoriale è stata
purtroppo negativa. Mi dispiace, Le rendo il
materiale e Le auguro di poter trovare una
soluzione soddisfacente presso altri. Molto
cordialmente...".
–
Casa Editrice n. 2:
lettera dell'11. 4. 96 del sig. (...) : "Il
suo (libro) naturalmente reca un contributo
importante, che è stato non a caso valutato
con la giusta attenzione dalla magistratura
inquirente e, sia pure con le difficoltà da
Lei documentate, dalla stampa... Sono perciò
costretto - a malincuore - a declinare la Sua
cortese offerta".
–
Casa Editrice n. 3:
"Il testo che ci ha inviato è senza dubbio
interessante, ma secondo noi occorrerebbe
presentarlo a un editore che pubblica libri a
caldo su problemi italiani attuali, la Casa
Editrice n. 4, ad esempio...".
–
Casa Editrice n. 4:
per telefono, il consulente signor (...). :
"Sì, l'ho appena finito di leggere. E' un bel
testo, mi ha colpito il capitolo del Mig
perché è scritto bene. E tuttavia...".
–
Casa Editrice n. 5:
lettera della Segreteria Editoriale:
"Purtroppo dobbiamo dirLe che la nostra
commissione di lettura non ha ritenuto il Suo
lavoro adatto ad essere inserito nelle nostre
collane". Dalla scheda di valutazione del
5.11.96 del suo direttore editoriale, il sig.
(...), rinvenuta casualmente tra le pagine del
dattiloscritto restituito, risulta tra l'altro
testualmente: "... nacque così la decisione di
scrivere questo libro, che vedo esservi stato
spedito nello scorso aprile: spero non troppo
tempo fa per poter rispondere, senza
possibilità di appello e col minor numero
possibile di parole per non restare
invischiati dal tenacissimo entusiasmo
dell'autore, che la proposta non può rientrare
nei nostri programmi editoriali. Altrimenti,
si potrebbe offrire all'autore di comprargli
il testo".
–
Casa Editrice n. 6:
"Le variazioni necessarie (ove compaiono cioè
chiari e precisi riferimenti a nominativi e
persone) snaturerebbero negativamente gli
interessanti contenuti del testo originale. E'
nostra ovvia politica cercare di evitare le
questioni legali. Confermato il valore della
Sua opera, se già non ha provveduto in tal
senso, Le consigliamo vivamente di sottoporla
in visione ad affermate case editrici che
possano sostenerne la pubblicazione, sia in
senso editoriale, sia sotto il profilo
legale."
–
Casa Editrice n. 7:
ha semplicemente negato di aver mai ricevuto
il dattiloscritto. E ha continuato a negare
anche in presenza del documento postale che ne
comprovava l'avvenuta consegna a mani del
titolare, il sig. (...).
–
Casa Editrice n. 8:
risposta telefonica: "Il dattiloscritto è
stato sottoposto alla valutazione personale
della signora (...). Poi, nessun riscontro
nonostante i ripetuti solleciti.
–
Casa Editrice n. 9:
Dopo l'ennesimo sollecito telefonico: "Avevamo
a suo tempo esaminato il Suo testo e deciso,
in rapporto alla linea editoriale delle nostre
collane, di non accogliere la Sua proposta di
pubblicazione".
–
Casa Editrice n. 10:
"In questo momento non ci è possibile
procedere ad alcuna ulteriore iniziativa
editoriale; conserveremo nel nostro archivio
una dettagliata scheda del Suo lavoro nella
eventualità di una futura utilizzazione".
–
Casa Editrice n. 11 :
per telefono con la dott.ssa (...) (figlia del
proprietario?): "No, non può rientrare nei
nostri programmi". Subito dopo, avendole fatto
notare che nei primi contatti si era detta
interessata, la stessa mi ha risposto che la
casa aveva cambiato linea editoriale solo da
qualche giorno.
A
questo punto, qualsiasi commento si
rivelerebbe superfluo.
M.J.
Ustica,
però, non può essere dimenticata.
"Eppure,
c'è ancora chi si muove per costringere
altri a dimenticare; e in questo disegno
prova a falsificare gli indizi e le prove,
alza polveroni, produce
delitti, commissiona 'suicidi'.
Sangue, tanto sangue! Non importa se
innocente! Purché scorra. E sia
d'avvertimento a chi dovrebbe e non vuol
capire ...
I militari e ministri hanno minacciato i
giornalisti di reazioni anche giudiziarie se
avessero continuato a porre in dubbio la
loro parola sulla versione ufficiale del
disastro di Ustica.
Chiaro? Reazioni anche giudiziarie. E non è
che non abbiano poi mantenuto la 'promessa'.
L'hanno mantenuta eccome!
Basterà tanta feroce determinazione a
cancellare il nostro bisogno di verità?
Sicuramente no. La gente, è vero, è
disorientata, non sa più che cosa pensare, a
chi credere. Gli italiani, in particolare,
stanno combattendo, ormai da anni, una dura
battaglia contro la corruzione; sono allo
stremo delle forze, ma vogliono giustamente
portare a termine la loro 'rivoluzione'. I
più guardano con fiducia ad una magistratura
che spesso, fatte salve talune lodevoli
eccezioni, si muove secondo un copione che è
frutto del formalismo più esasperato:
fascicoli aperti, sospetti, analisi,
depistaggi, archiviazioni, misteri. E poi,
nuovi sospetti, altre analisi, altri
polveroni, nuovi misteri. I tribunali
scoppiano, la giustizia non funziona, il
tempo passa inesorabile e i responsabili
capiscono che, con un pizzico di fortuna,
possono anche farla franca; si riciclano,
fuggono ad Hammamet, aspettano in apnea
prima di riemergere...
Un
giorno il relitto del DC9 Itavia potrà
essere considerato una sorta di monumento
nazionale che serva di monito alle
generazioni future. Ora, però, esso deve
essere visto solo come reperto, e come tale
va analizzato e studiato, proprio come fosse
il principale testimone della tragedia.
M'è capitato, a volte, di raccontare questa
vicenda ad amici o persone di provata
fiducia. Vanni Valia, per ultimo, mi disse
una sera: <<E' una storia estremamente
interessante. Perché non provi a
scriverla?>>
L'ho fatto."
Leggi
l'intervista a
Enrico Brogneri, apparsa su "La Gazzetta del
Sud" del 28 aprile 1998 e quella
pubblicata su "Il Quotidiano" del 22 ottobre
1998.
Per
ulteriori informazioni ed eventuali commenti è
possibile rivolgersi direttamente all'autore
scrivendo al seguente indirizzo: brogneri@abramo.it
oppure visitare il suo sito
internet in cui presenta il libro.
Chi
è l'autore?
Enrico
Brogneri è nato a San Pietro Apostolo (CZ) il
14 ottobre 1943 e risiede nella città di
Catanzaro. Dopo la maturità ottenuta al Liceo
Classico "P.Galluppi", accede agli studi
superiori e consegue la laurea in
giurisprudenza all'Università di Napoli.
A Catanzaro esercita la professione di
avvocato civilista.
Nel tempo libero, la caccia e la pesca sono
stati i suoi svaghi preferiti fino a qualche
anno addietro. Ora, pur senza trascurarli del
tutto, dedica più tempo ai viaggi.
Dopo "Ai margini di Ustica" ha in progetto di
scrivere un secondo libro del quale, al
momento, preferisce non anticipare
l'argomento.
Morti
sospette
Nel
capitolo IX de "Ai margini di Ustica", Enrico
Brogneri considera alcuni incidenti e
coincidenze che sembrano "troppo numerose e
strane per non doverle tenere in debita
considerazione", fatti che spingono alla
riflessione:
–
la morte del maresciallo Zummarelli, travolto
da una Honda 600 nel periodo in cui era
impegnato nelle indagini sul Mig libico. Poco
tempo prima aveva confidato ad un amico
giornalista, Gaetano Sconzo, di temere per la
propria vita
–la
morte del maresciallo Antonio Muzio, ucciso
con tre colpi di pistola nell'addome mentre si
trovava nella sua casa di Pizzo Calabro, il
quale aveva lavorato all'aereoporto di lamezia
Terme: "uno scalo direttamente coinvolto nella
vicenda del Mig libico, del suo recupero sulla
Sila e della sua restituzione a Geddafi" (dal
settimanale "Europeo" n. 9 del 28 febbraio
1992)
–
la morte del colonnello Sandro Marcucci,
precipitato col suo Piper il 2 febbraio 1992
sulle Alpi Apuane. L' "Europeo" riporta:
"L'aereo brucia, va in fumo, c'è chi giura di
aver visto l'aereo perdere stranamente quota e
all'improvviso". "Poi, mistero nel mistero,
nella bara viene ritrovato un pezzo del
motore: è tutto fuso, tranne un tubicino di
gomma. Il fuoco ha sciolto il metallo ma non
la gomma. Ma chi l'ha nascosto nelle sue
spoglie?" (dal testo del libro). Il quotidiano
"Il Tirreno" parla di un'intervista in cui,
appena cinque giorni prima della sua morte, il
colonnello Marcucci aveva duramente attaccato,
acccusandolo di corruzione, il generale
dell'Aereonautica Zeno Tascio, comandante
dell'aereoporto di Pisa dal 1976 al 1979,
responsabile dei servizi segreti
dell'Aereonautica all'epoca del disastro di
Ustica, e oggi inquisito nell'inchiesta del
DC9.
In una nota del libro l'autore riferisce: "Le
caratteristiche delle bruciature, riscontrate
sui reperti del piccolo velivolo e sulla
persona del colonnello Marcucci, hanno
alimentato il sospetto di sabotaggio. La
magistratura sta ancora indagando sulla
possibilità che il Piper sia precipitato per
lo scoppio di un ordigno al fosforo collocato
sotto il pannello dei comandi"
–
la morte, insieme a quella di Giorgio Alessio,
dei capitani Ivo Nutarelli e Mario Naldini
della pattuglia acrobatica delle Frecce
Tricolori nella tragedia di Ramstein
(Germania), in cui si sono contati fra i
civili ben 51 morti e 400 feriti. L'ipotesi
della collisione in volo sembra poco fondata:
da un filmato risulta la presenza sospetta, su
una terrazza, di due persone non identificate
che, rimanendo appartate, maneggiano un
telecomando; l'incidente pare sia avvenuto
proprio sulla loro perpendicolare, in
corrispondenza della loro posizione. Il fatto
che i capitani Nutarelli e Naldini dovessero
comparire davanti al giudice pochi giorni dopo
perché erano in possesso di qualche importante
informazione circa il disastro di Ustica - i
giudici volevano infatti chiedere loro il
motivo per cui, la notte del disastro, si
erano levati in volo ed erano stati costretti
a rientrare - e che lo scoppio e la fiammata
si siano verificati dopo che le due pattuglie
si erano incrociate, esclude l'ipotesi della
collisione e fa sorgere il sospetto che
l'incidente sia stato in realtà un attentato
per ridurli al silenzio
–
la morte del capitano Maurizio Gari,
controllore di volo nel centro radar di Poggio
Ballone, stroncato all'età di 32 anni da un
misterioso e non verificato infarto
–
la morte del maresciallo Alberto Dettori,
dello stesso centro radar, impiccato ad un
albero
–
la morte del colonnello Giorgio Teoldi,
comandante dell'Aereoporto Militare di
Grosseto
–
la morte del sindaco di Grosseto Giovanni
Finetti, poco tempo dopo aver manifestato
l'intenzione di volere raccontare ai giudici
una circostanza appresa indirettamente
–
la morte in un attentato del generale Licio
Giorgieri
La
lista delle morti sospette è molto lunga...
Forse troppo lunga per sostenere la tesi delle
coincidenze, dice l'autore.
Intervista
a Enrico Brogneri, a cura di Francesco
Kostener, tratta da "La Gazzetta del Sud"
del 28 aprile 1998
Viaggio "Ai margini di Ustica"
Pur
apparso in libreria da ormai tre mesi, ancora
questo volume di Enrico Brogneri -pubblicato a
proprie spese dall'autore per superare i
"tentennamenti" dell'editoria non solo locale
-non ha registrato l'attenzione che merita.
Non che Brogneri, che vive e svolge la
professione forense a Catanzaro, non sia
riuscito a fornire elementi interessanti per
una conoscenza più ampia dei fatti di Ustica.
Tutt'altro.
Il suo, anzi, è un contributo non solo
originale, ma carico di particolari e di
contenuti nuovi, al punto da costituire un
tassello illuminante nel complesso mosaico di
cui si compone la storia del DC9 Itavia,
inabissatosi nel Tirreno la sera del 27 giugno
1980.
Da allora, nonostante siano trascorsi ben 18
anni, la verità su quanto accadde a
quell'aereo, con 79 persone a bordo, non è
stata ancora definitivamente accertata. Si
tratta di una delle vicende più controverse e
misteriose tra le tante che hanno segnato la
più recente storia italiana, cui Enrico
Brogneri ha dedicato -e dedica tuttora-
impegno e passione investigativi ammirevoli.
Un dovere civile, il suo -parallelo a quello
dell'Associazione dei parenti delle vittime
della strage di Ustica, presieduta da Daria
Bonfietti, sorella di una delle persone
scomparse quella sera -per impedire che quelle
81 persone finiscano dimenticate o sacrificate
sull'altare di interessi che non devono invece
prevalere. Ma perché Brogneri si è occupato di
Ustica? Egli non avrebbe mai immaginato che,
quell'aereo, visto la sera del 27 giugno 1980,
mentre percorreva via Jan Palach, una stradina
solitaria e periferica di Catanzaro, avrebbe
cambiato la sua vita. Erano le 21.20 circa,
mezz'ora prima era precipitato il DC9.
Né avrebbe potuto immaginare che, nove anni
dopo -ascoltando l'allora Ministro della
Difesa, Valerio Zanone, a conclusione delle
indagini della Commissione Pisano, affermare
sul proprio onore, "che la vicenda del Mig
libico non ha nulla in comune con la caduta
del DC9"- l'immagine di quell'aereo, a
distanza di tanto tempo, gli sarebbe apparsa
di colpo carica di significati e fosche
interpretazioni. Fu così che, profondamente
turbato, Brogneri si precipitò al telefono e
compose il numero del quotidiano "La Stampa",
chiedendo al centralinista del giornalista
Ruggero Conteduca, che si era sempre
interessato di Ustica.
La sua testimonianza, però, non produsse
l'effetto sperato. Né maggiore fortuna ebbe la
lettera che Brogneri, infastidito per essersi
sentito dire che la questione era di scarso
interesse e che nulla vietava di pensare che
egli fosse un mitomane, decise di scrivere
alla redazione del quotidiano torinese.
Diversamente andò col giornalista Franco
Scottoni, de "La Repubblica" dal cui articolo,
seppure in ritardo, arrivò la convocazione di
Brogneri da parte del giudice istruttore
Vittorio Bucarelli.
Ma
ecco la testimonianza dell'avvocato
catanzarese:
"Inviando
quella lettera, sapevo bene che si sarebbe
aperta una fase nuova e coinvolgente nella
storia di Ustica. Ricordo che ero molto
preoccupato, forse pure spaventato dalla
prospettiva di dover fronteggiare una
situazione delicatissima con autorità
politiche e militari, già da tempo sotto
accusa per i sospetti e le gravi perplessità
che erano scaturite dalle loro risposte agli
inquirenti. A quel punto, però, niente e
nessuno avrebbe potuto indurmi a lasciar
perdere. Ustica, col suo carico di misteri,
non era una vicenda qualsiasi. Era, invece, e
lo è ancora, una storia terribile che ha
coinvolto potenze straniere sempre più
determinate a impedire l'emergere di
responsabilità inconfessabili, suscettibili di
creare seri problemi alle loro diplomazie".
–
Una storia alla quale lei ha dedicato
ogni sua energia...
"Svolgendo la mia normale occupazione di
avvocato, ho dovuto vivere un'esperienza
parallela, fatta di normali incontri con
giudici e giornalisti, ma anche di pericolose
investigazioni da dilettante, finalizzate alla
ricerca di possibili riscontri.
I rischi, memore delle numerose morti che
avevano destato fondati sospetti, li ho sempre
avuti ben presenti. Ma il sacrificio di tante
vite, le sofferenze e il dolore urlato dai
parenti delle vittime, potevano davvero essere
soffocati da qualsivoglia ragione di
opportunità?
Queste cose, in qualche modo, le ho dette
anche al magistrato romano Bucarelli, quando
finalmente si degnò di interrogarmi. Egli
però, sarà stata una mia impressione, mi
sembrò pieno di pregiudizi, quasi fosse
infastidito dalla mia stessa presenza. Non
ebbi di lui, insomma, l'impressione positiva
che successivamente mi diede il giudice
Priore.
Priore, invece, ha fatto un gran lavoro. E se
un giorno sarà possibile conoscerla, questa
benedetta verità, allora il merito dovrà
essergli riconosciuto a buon diritto".
–
Quando è nata il lei l'idea di scrivere
un libro su Ustica?
"Non subito, anche se la mia ipotesi l'avevo
ben chiara in mente. Probabilmente, fu dopo il
dialogo avuto con il giornalista Claudio
Gatti, corrispondente dagli Stati Uniti del
settimanale "L'Europeo", che cominciai ad
accarezzare l'idea di scrivere un libro sulla
vicenda. Mi aveva chiamato per sapere se avevo
letto il suo "Quinto scenario", da pochi
giorni in libreria. Insistette perché gli
chiarissi il mio pensiero, cosa che feci
scrivendogli una lettera, nel marzo 1994. Mi
richiamò per dirmi della sua certezza sul non
coinvolgimento dei francesi e degli americani,
che sarebbero rimasti estranei alla battaglia
aerea".
–
Perché, nel cielo di Ustica si verificò
questo?
"Credo di sì. Ma spiegherò cosa avvenne tra un
attimo. Dicevo che Gatti si mostrò molto
interessato alla mia ipotesi, che aveva
trovato assai suggestiva e verosimile, della
possibile sostituzione dell'aereo di
Castelsilano ad opera dei servizi segreti,
tant'è che subito mi accennò alla probabilità
che egli decidesse di proporre una seconda
edizione modificata del suo volume.
Fu allora che mi lasciai sfuggire una vera e
propria gaffe: "Forse bisognerebbe scrivere un
altro libro", gli suggerii sorridendo".
–
Aveva accennato alla battaglia aerea...
"Spetta naturalmente alla magistratura
accertare cosa può essere accaduto quella
notte del 27 giugno 1980. Io ho solo fatto
un'ipotesi, con l'unica pretesa di provocare
la risposta di quanti hanno titolo per
interloquire sulla vicenda. L'ho fatto perché
mai e poi mai avrei potuto sopportare una
soluzione svincolata dagli apporti di
testimoni, sulla quale sembra vogliano puntare
coloro che avversano l'ipotesi della battaglia
aerea".
–
Qual è la sua idea?
"Agli atti dell'inchiesta vi sono innumerevoli
elaborati peritali sul relitto del DC9, ma è
troppo comodo pretendere di trarre argomenti
solo da essi, confidando sull'opinabilità
delle conclusioni dei periti. Esistono agli
atti consistenti elementi indiziari che
scaturiscono da spontanee dichiarazioni di
gente comune; vi sono notevoli elementi di
falsità dichiarate e reiterate da alcuni
indiziati all'evidente scopo di depistare le
indagini; vi sono pure le rogatorie che
testimoniano le reticenze di alcune nazioni,
che spesso si sono trincerate dietro ostinati
silenzi, tanto assurdi quanto eloquenti".
–
Una matassa ancora da sbrogliare del
tutto?
"No, non credo. E' piuttosto l'ipotesi del
complotto a rendere l'aria irrespirabile. Il
complotto che evoca l'inganno, il tradimento,
la consapevolezza delle probabili conseguenze,
è qualcosa di sconvolgente e di indigeribile.
Ma come può essere escluso nella concomitanza
degli elementi emersi?
La pista della fornitura dell'uranio
arricchito all'Irak non l'ha inventata
nessuno. Qualcosa, ancor prima di Gatti,
l'aveva casualmente accertato il giudice Carlo
Palermo, che si era imbattuto, indagando su un
misterioso traffico d'armi, su due strane
fatture comprovanti il passaggio del materiale
fissile dalla Libia all'Irak. E non è un
mistero che il Mossad, il servizio segreto
israeliano, si era già da tempo reso
particolarmente attivo con atti di sabotaggio
per impedire all'Irak di dotarsi della bomba
atomica.
Si vuole insistere ancora sulla tesi della
responsabilità lieve per semplice colpa?
Ebbene, spieghino allora da che è scaturita la
necessità di depistare, la decisione di negare
ad oltranza e di lanciare volgari accuse di
protagonismo contro coloro che avevano solo
avvertito il dovere di testimoniare da uomini
liberi".
–
Ma lei cos'ha detto ai giudici?
"Io ho riferito ai giudici quel che ho visto,
e nel mio libro ho scritto quel che ho
pensato. Sia chiaro però che, piuttosto che
dare certezze, ho inteso solo ampliare la rosa
delle ipotesi, così come ho voluto riferirmi
agli uomini deviati delle istituzioni anche
quando ho genericamente parlato di francesi,
americani, e così via".
–
Ma come andrà a finire secondo lei?
"Non so dirlo. Il mio augurio è che siano
accertate tutte le responsabilità, e non solo
di quelli che hanno avuto interesse a
depistare, tradendo il giuramento di fedeltà
alla nazione. Sono tuttavia un po'
demoralizzato per la caparbietà di una difesa
gratuita, giornalmente reiterata anche in
favore di coloro che sono rimasti ormai
irrimediabilmente smentiti e contraddetti. Si
tratta, come è evidente, di una difesa
preordinata alla negazione fine a se stessa. E
questo è un fenomeno inaccettabile e
preoccupante, perché negare l'evidenza cozza
contro ogni regola della società civile e,
dunque, è violenza".
Intervista
a Enrico Brogneri, a cura di Giuseppe Cosco,
tratta da "Il Quotidiano" del 22 ottobre
1998.
–
Avvocato Brogneri, cosa ha visto
esattamente, alle 21,20, la sera del 27
Giugno 1980?
Ero stato a trovare i miei genitori e mi stavo
recando a prendere mia moglie quando,
percorrendo via Jan Palach, ho visto un aereo
militare sorvolare la città di Catanzaro a
bassissima quota e a motori e luci spente,
sembrava in planata. La circostanza potrebbe a
prima vista sembrare del tutto banale ma non è
così, specie se si considera che 20 minuti
prima, capisce? Venti minuti prima era
precipitato il DC9 ITAVIA, nel Tirreno.
–
Nel suo libro sembra convinto che il DC9
sia stato abbattuto nel corso di una
battaglia aerea. Cosa è accaduto secondo
lei?
L'ipotesi della battaglia aerea, svoltasi in
prossimità del DC9, non è nuova. Prima di me
l'avevano sostenuta altri, per esempio Andrea
Purgatori e Claudio Gatti. Non è questo il
punto. La divergenza, invece, è nello
scenario. Gatti nel suo libro attribuisce la
tragedia ad un errore dell'aviazione
israeliana. Io, al contrario, ho pensato ad un
qualcosa di più complesso, nel quale è il
complotto a determinare la tragedia.
–
Qual è la sua teoria del complotto in
proposito?
Nel mio libro: "Ai margini di Ustica", ho
sostenuto l'ipotesi dell'abbattimento del DC9
nel corso di una battaglia aerea intrapresa
per impedire che i francesi consegnassero
l'uranio all'Irak. Devo premettere che, ogni
qual volta ho fatto riferimento ai francesi,
agli italiani o agli americani e così via, ho
inteso sempre riferirmi ai rispettivi servizi
segreti deviati. Ebbene, dicevo che i servizi
segreti francesi, lo SDECE per intenderci,
d'accordo con quelli italiani, avevano
predisposto un piano ben preciso. Tale piano
prevedeva che il trasporto dell'uranio dovesse
avvenire proprio la notte della tragedia, per
via aerea con un cargo camuffato, che doveva
procedere sulla scia del DC9, ma a distanza di
sicurezza per non correre i rischi, che si è
invece voluto far correre agli ignari
passegeri dell' ITAVIA. Capisce? La
possibilità che gli israeliani potessero
colpire il DC9 era stata preventivata. Qua sta
il fattaccio. I francesi e gli italiani
sapevano che quel che poi è accaduto aveva un
alto margine di probabilità che si
verificasse. Lo sapevano e non hanno fatto
nulla per impedirlo. Lo sapevano e addirittura
avevano reso ancora più probabile
l'accadimento quando, da veri e propri
professionisti del delitto, decisero di far
scortare il DC9 da un loro aereo militare.
–
Quindi, il DC9 è stato fatto scortare da
un caccia militare per ingannare il
Mossad, il servizio segreto israeliano?
Appunto. E' proprio questo che rende
inconfessabile lo scenario. L'hanno fatto
perché, in tal modo, se gli israeliani, vale a
dire i sabotatori, avessero attaccato, molto
probabilmente sarebbe stato, come è accaduto,
proprio il DC9 a rimetterci le penne. Il DC9,
non il loro cargo camuffato, che poi, dopo la
battaglia aerea, passò indisturbato e portò a
termine la missione.
–
I politici italiani hanno avuto un ruolo
rilevante in questo complotto?
Fu un complotto con conseguente proliferazione
di intrighi, colpi di scena, depistaggi, false
dichiarazioni, occultamento delle prove, furti
e distruzioni di documenti, veleni, morti
sospette. Per quanto concerne il ruolo dei
politici, io non escludo che qualche
personaggio, anche di grande rilievo, possa
aver recitato una parte molto importante. Il
mio scenario è senza dubbio agghiacciante, ma
non sono stato io a sostenere per primo l'idea
che dietro Ustica c'è qualcosa di
inconfessabile, voglio dire che la tragedia
può anche suggerire l'idea di un businnes
oltre misura, di una tangentopoli irrispettosa
di ogni regola e di ogni valore, compresa la
vita umana. Quando sono questi gli argomenti,
i politici ci sono sempre.
–
Lei ha certamente svolto indagini su
questa drammatica vicenda, di cui si
interessa da oltre dieci anni. Cosa ha
scoperto in concreto?
E' il depistaggio del Mig libico che mi ha
consentito di intuire talune circostanze. Io
sono convinto, l'ho sostenuto e lo sostengo
con decisione, che lì, nel Comune di
Castelsilano, non è caduto alcun Mig. Sono
stati i nostri servizi, d'accordo con i
francesi, che hanno voluto farci trovare
quell'aereo militare. In realtà, a cadere è
stato un altro aereo da guerra, forse proprio
quello che ho visto io e che di certo non era
il Mig libico ritrovato. Io ho visto un altro
aereo, un aereo con una sagoma completamente
diversa, un aereo da guerra che, con ogni
probabilità, apparteneva ad una nazione il cui
nome non doveva e non poteva essere rivelato.
Questa è stata la consegna, non si doveva
rivelare la vera nazionalità. E' nata così la
messinscena della pista libica; bisognava
comunque soddisfare l'esigenza dell'opinione
pubblica e si è allora pensato di addossare la
responsabilità a quel Gheddafi imprevedibile.
–
Ma che tipo di aereo ha visto?
L'aereo, da me avvistato, aveva una sagoma
triangolare e compatta simile a quella dei
Mirage francesi o dei Kfir israeliani. Deduco
che, probabilmente, c'entrano i francesi o gli
israeliani o entrambi.
–
In tutta questa faccenda hanno avuto un
ruolo i mass media?
La sensazione che ne ho ricavato è che molti
giornalisti possono essere stati anche essi
depistati. E', però, prematuro che parli ora
di quest'aspetto, di questa terza peculiarità
del depistaggio del famoso Mig. Le anticipo,
comunque, che esistono concrete possibilità
che, dietro la faccenda di Castelsilano, si
nasconda qualcosa che richiama il gioco delle
scatole cinesi: un depistaggio che contiene un
depistaggio che, a sua volta, contiene un
altro depistaggio, ma di questo, ne parlerò in
un'altra occasione.
–
Un'ultima domanda. Molte persone, in
qualche modo coinvolte col caso Ustica,
sono misteriosamente decedute. Lei crede
che questa gente sia stata assassinata? E
se sì, lei, che con la sua testimonianza
prova, tra l'altro, la stretta
correlazione tra il Mig libico e la strage
di Ustica, teme per la sua vita?
Lei mi pone interrogativi difficili e
pericolosi. Credo che una buona parte di
questi potenziali testimoni, che avrebbero
potuto riferire circostanze interessanti per
l'inchiesta, sono stati eliminati di
proposito. Sarˆ un caso, ma a me i misteri che
ruotano intorno al DC9 sono sempre sembrati
qualcosa di pi di una semplice fatalitˆ,
senza dire di altri strani episodi, non
sufficientemente sospettati. Lei mi chiede se
temo per la mia vita. Devo ammettere di avere
avuto e di avere una grande preoccupazione per
la mia incolumitˆ. Come ho scritto nel mio
libro, a volte penso di tutto: a mio padre che
m'aveva consigliato la massima prudenza,
all'elenco delle morti misteriose e alla
qualifica di "testimone scomodo" che m'aveva
attribuito "L'Espresso". La storia di Ustica,
ad ogni buon conto, io l'ho solo raccontata.
Loro invece, i responsabili, i carnefici ma
anche i depistatori, l'hanno scritta col
sangue delle loro vittime.
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