Incontro con Carla Lastoria

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"Il Pescatore della neve", vincitore del concorso per inediti Opera Prima Albatros 2006, viene pubblicato dalla Albatros Edizioni. Il romanzo è stato presentato il 7 maggio alla Biblioteca Zara di Milano e il 12 maggio a Torino alla Fiera Internazionale del Libro.
Quali migliori notizie potevamo aspettarci? Talvolta i sogni si avverano... Potete richiedere il romanzo in libreria oppure ordinarlo direttamente dalla Casa Editrice: redazione@albatrosmagazine.net (Tel.: 081-856 75 43). 

Ecco come l'Autrice presentava il suo romanzo quando questo era ancora solo un sogno nel cassetto:

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Mi chiamo Carla Lastoria, sono nata nel 1973 proprio nel giorno dell’Equinozio d’Autunno: il 23 Settembre.
Il cognome che porto la dice lunga sull’amore che nutro per la scrittura, quasi fosse un segno premonitore di ciò che avrebbe affascinato e rapito il mio tempo in futuro: LE STORIE, I ROMANZI, I RACCONTI.
Ho due grandi passioni legate al mondo artistico: il DISEGNO e la SCRITTURA.
Il disegno mi accompagna fin da quando ero bambina, passando dai disegni delle fiabe classiche, al mondo dei fumetti e a quello della pittura in seguito. A tale proposito ho frequentato per alcuni mesi la Scuola del Fumetto di Milano.
La scrittura è una passione più recente, ma non per questo meno importante.
Lavoro da dieci anni come impiegata presso una multinazionale giapponese a Milano nel settore del commercio, ma nella vita privata, il computer, lo uso per una funzione molto più “nobile”: quella di scrivere racconti.
Fino ad ora ho scritto solo una serie di favole per bambini a livello amatoriale e ho partecipato ad un piccolo concorso locale con una novella dal titolo: L’ANGELO DI PIETRA.
IL PESCATORE DELLA NEVE è il mio primo romanzo, purtroppo ancora in attesa di essere pubblicato, anche se non è facile. Però, chissà, magari prima o poi…

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Il Pescatore della neve

Una storia dolce e commovente, narrata con spontaneità, che fa leva sui migliori sentimenti, rievocando nel lettore i ricordi più belli ed intensi di quel magico periodo dell'esistenza che, negli anni maturi, si suol rievocare come un sogno. Quell'incredibile nevicata del 1949, che avvolse Parigi per giorni e giorni, fa da sfondo alla vicenda vissuta della giovanissima Lou che si schiude al mondo dell'arte ma anche a quello dell'età adulta. I personaggi, così umani, così veri - cara ed indimenticabile Zia Lianna! - accompagneranno il lettore nel cammino della vita.

M. J.

Parigi 1949

Siamo a Montmartre, cuore di una città che sta lentamente tornando a sognare e a far sognare, dopo gli sconvolgimenti dell’ultima guerra mondiale.
La magia di questo luogo, che diverrà punto di ritrovo di numerosi artisti, grazie alla prima mostra organizzata proprio in quell’anno, e la grande nevicata che sommerge l’intera città, sono la cornice perfetta per l’incontro tra Kurt e Lou.
Lui, un pittore che arriva da lontano, uno spirito errante alla continua ricerca di una dimora che, in fondo, non vuole trovare. Circondato da un alone di mistero sulla sua identità, che solo l’amicizia pura con Lou, e lo sconvolgente ritrovamento di un quadro, ormai dimenticato, riusciranno a svelare.
Lei, una ragazzina di quattordici anni alle prese con il suo più grande sogno: diventare un’artista.
Kurt è quindi il maestro da seguire, quello da cui imparare quanto più possibile sull’arte; ma Kurt insegnerà a Lou molto di più, aprendole non solo le porte dell’arte stessa, ma soprattutto quelle della vita.
Una storia che rimane incompiuta fino all’epilogo…dieci anni dopo.

«Oggi tocca a te!»
«Cosa?» domandai incuriosita.
Kurt mi osservò in silenzio.
«Avanti, non mi stai appiccicata perché credi che io possa insegnarti chissà quali tecniche?»
Rimasi senza parole a metà tra l’essere imbarazzata e arrabbiata, ma come ho già spiegato, era difficile arrabbiarsi con lui.
«Be’…io, ecco, veramente…»
La realtà era che non sapevo cosa dire, perché tutto ciò era vero e Kurt l’aveva capito, come al solito.
Il sogno di un grande pittore, che avrebbe notato il mio talento e mi avrebbe proposto di seguirlo, non mi aveva mai abbandonato, anzi, con Kurt aveva quasi acquistato maggiore consistenza.
«Allora forza! Fammi vedere!» mi incitò.
Io continuavo a guardarlo immobile, incapace di fare o dire qualsiasi cosa.
Il freddo dell’ambiente circostante era niente in confronto a come mi avevano ghiacciato le sue parole.
Mi sentivo come quando a scuola mi interrogavano senza che io mi fossi preparata adeguatamente sull’argomento.
Volevo eccellere in ogni cosa che facevo, e quando mi prendevano alla sprovvista mi sentivo come persa.
«Ma io…non…»
«Tu cosa?…Non sei qui per questo?…Non vuoi imparare? Cosa cerchi da me?»
Non potevo più nascondermi e comunque non sarebbe servito a niente mentire a Kurt, era come mentire a se stessi.
«Sì…d’accordo.» dissi timidamente.
«Ma…che devo fare?»
«E’ proprio questo il punto.» mi disse, «Io non posso dirtelo…io non posso dirti cosa devi o non devi fare, io non posso neanche insegnarti a dipingere…e poi, non voglio farlo.»
Ero sempre più confusa, ma cosa voleva dire? Non era lui il pittore del mio sogno? Non mi avrebbe portato via per insegnarmi ogni cosa che si poteva imparare?
No.
«Ascolta, io posso solo trasmetterti le mie sensazioni, posso spiegarti come vedono i miei occhi, posso spiegarti cosa significa per me andarmene in giro e cogliere attimi di vita che non torneranno, posso spiegarti quanto conta per me riempire un foglio bianco e quello che rappresenta; ma nessuno può insegnare ad un altro come diventare un artista, perché ognuno di noi lo è di già».
Ma che cosa stava dicendo? Voleva forse farmi credere che eravamo tutti uguali? Che ognuno poteva disegnare come…come Ronan, per esempio? Che mia madre, o zia Lianna, oppure quel vecchio arcigno del mio maestro di latino potevano, se volevano, dipingere nello stesso modo in cui lo desideravo io?
Per quanta ammirazione provassi per Kurt, non sarebbe riuscito a farmi credere questo. Io, in fondo, ero un po’… speciale, diversa dagli altri, io avevo l’animo dell’artista, io adoravo i quadri, potevo stare ore e ore davanti ad un’opera che mi piacesse davvero, cercando di riconoscere ogni singola pennellata che l’aveva generata. Questa ero io, un’artista ancora in fasce, ma sempre un’artista. Una persona diversa, un animo diverso dagli altri. Questa persona un po’ speciale era ciò che io ritenevo essere, un gradino più in alto. Ma ora Kurt mi stava dicendo che eravamo tutti sullo
stesso gradino?
Sì.
«Vedi, la gente si affanna tanto per conoscere ogni cosa, per cercare di capire gli altri e non si accorge che prima di capire ciò che sta all’esterno di noi è necessario capire ciò che si ha all’interno.
ASCOLTARE e OSSERVARE se stessi, è questo il grande segreto: riuscire ad ascoltare, osservare e capire.
Tu l’hai già fatto, hai ascoltato ciò che hai dentro, hai osservato e hai capito qual è la via.
Alla gente invece manca il tempo necessario per farlo, e così finisce per vivere senza esprimersi davvero, finisce per chiamare artisti solo coloro che hanno saputo semplicemente ASCOLTARE e OSSERVARE dentro di loro, pensando che siano esseri diversi, persone con qualcosa in più».
Mi sentivo stupida e presuntuosa. Perché io non c’ero arrivata?
Forse era vero, si partiva tutti da uno stesso livello, eppure era come in una gara, non si arrivava mai tutti insieme al traguardo, c’era sempre chi arrivava prima degli altri.
Seguendo la sua filosofia, Kurt mi avrebbe sicuramente risposto che ancora una volta sbagliavo angolazione. Dovevo guardare il quadro a trecentosessanta gradi, per cui, la morale del paragone, non era chi arrivava primo e chi ultimo, piuttosto che alla gara erano ammessi tutti e che tutti sarebbero arrivati al traguardo, prima o poi.
Questo era Kurt.
«Allora perché in questi ultimi giorni non avevi nulla in contrario se io rimanevo qui a guardarti dipingere, interrompendoti ogni minuto con le mie domande?» chiesi a Kurt rompendo il muro di silenzio che si era creato tra di noi.
«Perché volevo che tu mi guardassi» mi rispose al di là del muro.
«Volevi che ti guardassi dipingere, ma non vuoi insegnarmi, ma che razza di ragio…»
Kurt mi interruppe, buttando giù quel muro.
«Volevo che tu guardassi il MIO modo di dipingere, per capire quale sarebbe stato il TUO!»
A questo punto il muro che si era creato tra di noi, era stato completamente distrutto e ancora una volta Kurt ne era uscito illeso, mentre io dovevo rialzarmi da terra, piena di polvere.
«Una volta che hai osservato bene dentro di te, allora devi imparare ad osservare ciò che ti sta intorno, devi GUARDARE, FISSARE, VEDERE, ogni minimo particolare, ogni minimo movimento, ogni minima espressione, ogni sguardo…TUTTO. Solo quando avrai imparato ad osservare veramente, allora sarai in grado di registrare nella tua mente il particolare che più ti ha colpito, e sentirai l’impulso irrefrenabile di immortalarlo, su una tela, su un foglio, ovunque. E’ questa la forza che ti spinge a creare.»
Era vero.
Kurt venne di nuovo verso di me, stringendomi il mento con una mano, come aveva fatto la prima volta che ci eravamo incontrati. Mi guardò fisso negli occhi, questa volta era lui che cercava di vedere il fondo nei miei, o forse stava semplicemente OSSERVANDO.
«Te lo ripeto Lou» mi disse «in te c’è qualcosa che merita di essere espresso, dagli tempo!»
Ero estasiata, era come aver mangiato tre fette del mio dolce preferito e ora assaporavo il piacevole gusto che mi aveva lasciato in bocca.
«E così tu saresti quello che non vuole insegnarmi a dipingere?» chiesi ironica.
«Io non voglio insegnarti come dipingo IO!» mi rispose sorridendo «hai solo bisogno di aprire completamente quegli occhi belli!»
Era la prima volta che Kurt mi faceva un complimento. Non era da lui, o per lo meno non con me. Io per lui ero come un fedele discepolo con il suo Maestro, non una sua modella, o una ragazza per cui provava interesse.
Sentii improvvisamente una vampata di calore, la attribuii al fuoco, ma mi accorsi che durante le nostre chiacchiere si era quasi spento e ora Kurt stava cercando di ravvivarlo. Quella vampata doveva quindi provenire direttamente da me.
Mi vergognai, pensando a come doveva essersi colorito il mio viso. Mamma mi aveva sempre detto che quando diventavo rossa, ero ancora più simile ad una patata.
Dovevo essere ridicola.
Dopo qualche crepitio le fiamme del fuoco tornarono ad innalzarsi, mi avvicinai cercando in questo modo di mascherare l’improvviso colorito.
Kurt tornò dopo qualche secondo con in mano il solito blocco per schizzi e i carboncini.
«Coraggio!» mi disse porgendomeli.
Non avevo più alcun timore, così prese il materiale e iniziai a dipingere ciò che avevo davanti: l’interno di un capanno diroccato con le sue finestre vecchie e la neve che cadeva gelida al di fuori.
Kurt era al mio fianco, sembrava lui l’allievo ora.
Vorrei dire che quello fu uno dei giorni più importanti, ma con Kurt tutti i giorni acquistavano maggiore importanza, e diventava difficile scegliere quale meritasse il trofeo più di tutti.
Era proprio una persona speciale.

Milano, 8 Febbraio 2004

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